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Antropomorfismo, ovvero... perché con le gambe?

La tecnica di locomozione animale largamente più diffusa in natura è quella che prevede l’utilizzo di gambe, piedi, zampe, ciglia, etc… in generale di arti (due, quattro, sei, otto, mille) e nella fattispecie quella che risulta essere la più evoluta ne prevede esattamente due.

I nostri robot vogliono quindi prendere spunto dalla più funzionale forma che l’evoluzione ha selezionato: l’uomo.

La necessità di realizzare un robot (domestico e non) di concezione antropomorfa viene classicamente illustrata con il problema delle scale. Non si possono alterare case e costruzioni per rimuovere le scale così come non si può limitare lo spazio di lavoro di un robot solo a zone perfettamente pavimentate. Sebbene sia possibile studiare particolari attrezzature che permettano al robot di superare scale e gradini queste normalmente risultano una grande limitazione nelle funzionalità della macchina e comunque non permettono di risolvere il problema degli spostamenti sui terreni sconnessi.

Fornendo al robot lo stesso tipo di locomozione di cui siamo dotati noi possiamo evidentemente chiedergli di manovrare ed operare negli stessi ambienti nei quali noi lavoriamo.

La concezione di un robot mobile deve quindi tenere in conto il tipo di spazio nel quale la macchina dovrà agire e se il nostro progetto vuole avere la massima applicabilità e flessibilità allora il nostro robot dovrà necessariamente avere delle gambe.

 

Quante gambe?

La progettazione di un robot naturalmente parte da una specifica sulle funzionalità che la macchina deve avere, ovvero dalla base dei compiti ai quali sarà poi destinato e la maggior parte dei compiti robotici oramai richiede un certo dinamismo per essere competitiva nei confronti di un equivalente abilità umana. Se la tecnica meccanica permette di sfruttare frequenze di lavoro molto spinte lo stesso non vale per la tecnologia del controllo elettronico: per seguire l’evoluzione dinamica di un sistema complesso come un robot mobile sono necessarie frequenze computazionali decisamente elevate. E’ per questo che un soddisfacente compromesso può essere quello di realizzare robot dinamicamente stabili in modo intrinseco, così da poter concentrare le risorse di controllo in uno sforzo più specifico.

Il numero di gambe può quindi essere grande a piacere, tenendo conto che se è vero che all’aumentare del numero di gambe l’equilibrio dinamico è maggiormente garantito è anche vero che all’aumentare del numero di gambe i gradi di ridondanza del sistema da gestire contemporaneamente annullano, di fatto, l’utilità di averne così tante.

Le scelte possibili si riducono quindi a robot bipedi, a tre zampe (ma non ne esistono molti), quadrupedi, esapodi ed ottapodi.

I robot bipedi hanno ancora grandi problemi legati alla dinamica del camminamento che, come vedremo, implica molto di più del muovere i piedi in modo da metterli uno davanti all’altro e quindi il loro campo di studio è ancora nella fase di ricerca di laboratorio.

I robot a quattro zampe permettono la stabilità statica della macchina, ma non l’uniformità del movimento per via del fatto che il margine di stabilità è normalmente piuttosto ristretto.

I robot esapodi garantiscono invece più facilmente sia la stabilità statica (in ogni momento almeno tre appoggi sono garantiti) che quella dinamica, maggiore flessibilità nel passo di camminamento, ma sono sicuramente più onerosi sia in termini di costo che di controllo a livello di problemi di coordinate.

I robot ottapodi rivestono attualmente una categoria particolare per applicazioni dove sono richieste particolari doti di mobilità e di direzionalità, hanno inoltre il grande pregio di poter manovrare normalmente in spazi ristretti.