DOCUMENTS

elab.immagini
galileo
realtà virtuale
vrml
biomeccanica
esapodi
formula1
intelligenza







Papers
meccanica
sistemi
robotica


LA FABBRICA DEL PENSIERO
L'essere intenzionale

[Indietro]-[Avanti]

La mente

Per secoli, anzi millenni, pensatori di tutti i popoli hanno meditato sull'essenza della proprieta' piu' misteriosa dell'umanita': quella di avere una mente, grazie alla quale, fra l'altro, siamo in grado di sapere che esistiamo e che esistono gli altri, di provare emozioni e, infine, di studiare la mente stessa.

Per millenni si e' dibattuto su cosa sia la mente, ma senza possedere gli strumenti per poterlo fare in termini scientifici. Se ne e' discusso come si discuteva dei fulmini prima di scoprire l'elettricita'. Le recenti conquiste della Neurofisiologia lasciano intravedere l'avvento di una vera "scienza" della mente, che integrera' i risultati ottenuti da Fisiologi, Biologi, Psicologi, Filosofi e chiunque altro abbia prodotto teorie della mente.

Quella scienza dovra' sobbarcarsi un compito assai arduo, poiche', nonostante la mole impressionante di scoperte degli ultimi decenni, della mente si sa ancora poco, cosi' poco che probabilmente un giorno sembreranno meno ingenue le credenze antiche sui fulmini delle attuali teorie sulla mente.

La Scienza moderna ci dice che la mente ha sede nel cervello e che il cervello e' un ammasso di neuroni connessi fra di loro. Se, pero', ci concentriamo sulla nostra coscienza, sul nostro "me stesso", cio' che percepiamo non e' un lattice di neuroni e un traffico caotico di segnali, ma un flusso impalpabile di pensieri, emozioni, sensazioni. Vi e' cioe' una contraddizione di fondo: usando le facolta' della nostra mente (sotto forma di indagine scientifica) riusciamo a determinare la struttura del cervello; usando un'altra facolta' della nostra mente, l'introspezione, che non ci pare affatto diversa da quelle altre usate prima, otteniamo una descrizione completamente diversa della mente. La conclusione naturale e' che mente e cervello non possono essere la stessa cosa: il cervello e' una cosa, e la nostra mente riesce perfettamente a descriverla, e la mente e' un'altra.

Il dualismo di Descartes (la teoria per l'appunto che mente e corpo siano due sostanze diverse) deve pero' rispondere a una domanda fondamentale: com'e' possibile che due sostanze diverse, dotate di proprieta' totalmente diverse, interagiscano strettamente come fanno mente e corpo?

Il problema di come stati mentali e stati fisici possano interagire viene risolto in maniera elegante dal "dualismo di proprieta'" (cosiddetto per distinguerlo dal "dualismo di sostanza" di Descartes), secondo il quale ogni oggetto possiede sia proprieta' mentali sia proprieta' fisiche (esattamente come ogni oggetto della Meccanica Quantistica e' al tempo stesso onda e materia, esattamente come in Relativita' la massa e' energia e viceversa).

Al dualismo si oppone il fisicalismo, una corrente di pensiero secondo cui, invece, in accordo con i risultati sperimentali della Neurofisiologia, ogni stato mentale "e'" uno stato fisico del cervello. Se stato fisico e stato mentale sono cosi' (ovviamente) diversi e possiedono anche proprieta' cosi' diverse, che senso ha affermare che sono identici? Smart risolve il paradosso per analogia con quanto capita nelle scienze fisiche: la grande maggioranza degli individui percepisce il fulmine, ma senza poter percepire il processo fisico (elettromagnetico) che da' origine al fulmine; cio' non toglie che quel fulmine e il processo fisico corrispondente siano identici; non sono identici soltanto nel modo in cui li percepiamo: percepiamo direttamente il fulmine, mentre possiamo percepire soltanto indirettamente (e soltanto se abbiamo studiato Elettromagnetismo) il processo fisico corrispondente.

Armstrong aggiunge che deve esistere una relazione causale ben precisa: uno stato mentale deve essere l'effetto di un evento e a sua volta la causa di un comportamento (per esempio, il dolore e' dovuto a un danno fisico e causa una reazione per evitare altro dolore, oppure per diminuirlo, o semplicemente per esprimerlo). Cio' e' di nuovo analogo a quanto accade nelle scienze fisiche: una superficie e' "liscia" per via della sua struttura molecolare; un filo conduce elettricita' per via della sua struttura atomica; e cosi' via. Esistono sempre due modi di vedere lo stesso fenomeno, uno microscopico e uno macroscopico, e la scienza assume che quello microscopico renda conto di quello macroscopico. Cosi' sarebbe anche per corpo (cervello) e mente.

(In realta' nelle scienze fisiche esistono infiniti livelli di descrizione a cui ci si puo' porre, da quello subatomico a quello cosmico, e a ogni livello si puo' fornire una spiegazione del fenomeno. Non sembra questo il caso dei fenomeni cognitivi, che a quanto pare possono trovarsi soltanto in due stati, o neurale o mentale.)

Un altro fatto curioso e' che percepiamo lo stato fisico e lo stato mentale di uno stesso evento in modi diversi: percepiamo direttamente lo stato mentale (ne siamo coscienti nel momento stesso in cui si verifica), mentre percepiamo lo stato fisico corrispondente soltanto in maniera molto indiretta (dobbiamo studiare il cervello con apparecchiature sofisticate). Non solo: posso percepire direttamente soltanto gli stati "mentali" che sono miei, e quelli degli altri soltanto indirettamente (perche' li vedo arrabbiarsi o gioire); viceversa posso percepire direttamente soltanto gli stati "fisici" degli altri (appunto aprendone il cervello), e quelli che sono miei soltanto indirettamente: non posso infatti stare investigando il mio cervello nel momento in cui sto provando un certo evento mentale, poiche' in quel momento il mio cervello sta provando quel certo evento mentale e pertanto non puo' stare investigando se stesso.

Secondo Putnam e altri esiste una corrispondenza fra stati mentali e stati fisici, ma non e' necessariamente la stessa per tutti. I nostri cervelli sono infatti fisicamente diversi (sia pur di poco), e sono persino diversi in diverse fasi dello sviluppo per lo stesso individuo; cio' nonostante attribuiamo loro gli stessi fenomeni psicologici (ovvero gli stessi stati mentali), come gioia, paura, speranza; altre specie animali, con cervelli vistosamente diversi dai nostri, provano sensazioni simili alle nostre; e nulla impedisce di supporre addirittura che degli extra-terrestri, dotati di un cervello completamente diverso da quelli terrestri, potrebbero egualmente provare sensazioni di paura, gioia, speranza e cosi' via.

Oltre al dualismo e al fisicalismo vi e' una terza corrente di pensiero: il funzionalismo. Se non siamo in grado di riconoscere gli stati mentali ne' come sostanza a se stante ne' come stati fisici, proviamo a riconoscerli per la loro "funzione", o, meglio, i loro ruoli causali all'interno del sistema mentale, ignorando del tutto di cosa siano fatti. Per esempio, il ruolo del dolore e' quello di identificare i danni attuali al corpo e di evitare futuri danni al corpo.

Nella pratica quotidiana, in realta', e' dubbio quale criterio (fisico o funzionale) impieghiamo per riconoscere uno stato psicologico. Lewis fa notare che, se incontrassimo un marziano (fatto in maniera diversa da noi) che piange e un pazzo con una profonda ferita sanguinante che ride a crepapelle, riconosceremmo entrambi come persone che stanno provando dolore: eppure nel primo caso usiamo un criterio funzionale (riconosciamo il "processo" di provare dolore), nel secondo un criterio fisicalista (riconosciamo lo "stato" di provare dolore).

Una variante del funzionalismo elimina del tutto il dualismo mente/cervello ampliando all'infinito il numero dei possibili tipi di stato: invece che ammettere soltanto uno stato funzionale e uno stato fisico che in qualche modo vanno ricondotti l'uno all'altro, si suppone che esista un "continuo" di stati fra il fisico e il funzionale.

Cosi' Lycan, opponendosi a una visione del mondo dicotomica in cui esistono soltanto un livello inferiore che e' fisiochimico (neuroni) e un livello superiore che e' psicofunzionale (pensieri), concepisce la Natura come organizzata in diversi livelli gerarchici (subatomico, atomico, molecolare, cellulare, biologico, psicologico e cosi' via), ciascuno dei quali e' al tempo stesso fisico e funzionale: fisico rispetto al livello immediatamente superiore e funzionale rispetto a quello immediatamente inferiore. Procedendo dal basso verso l'alto si ottiene una descrizione fisica, strutturale, della natura (gli atomi compongono molecole che compongono cellule che compongono tessuti che compongono organi che compongono corpi...); dall'alto verso il basso si ottiene una descrizione funzionale (per spiegare come funziona il corpo, studiamo la funzione delle membra, per studiare la cui funzione studiamo la funzione dei muscoli, etc). L'apparente "irriducibilita'" del mentale sarebbe allora dovuta all'irriducibilita' dei vari livelli.

Cosi', secondo Dennett, il fenomeno della mente va ridotto a un insieme di funzioni cognitive; ciascuna funzione cognitiva va ridotta a problemi cognitivi piu' semplici; e cosi' via semplificando di volta in volta il problema e riducendo sempre piu' l'"intelligenza" richiesta al sistema per risolverlo; finche' si raggiunge un livello in cui non e' richiesta altra intelligenza che quella disponibile in una macchina. A ciascuno di questi livelli esiste pertanto un gruppo di "omuncoli", ciascuno dei quali contribuisce a formare omuncoli del livello superiore ed e' a sua volta composto di omuncoli del livello inferiore. Gli omuncoli di ciascun livello costituiscono una spiegazione completa di come funziona il tutto. Semplicemente ogni livello rappresenta un livello di "dettaglio" maggiore. Analogamente, concepiamo il funzionamento di un'automobile come dovuto all'interazione fra ruote, motore, sterzo, e cosi' via; a sua volta il funzionamento del motore e' determinato dall'interazione fra carburatore, candele, e cosi' via.

L'idea della "societa' delle menti" di Minsky e' simile: il comportamento intelligente e' dovuto al comportamento non intelligente di un numero molto grande di "agenti", organizzati in una gerarchia "burocratica", non diversamente dagli omuncoli di Dennett. L'insieme delle loro azioni elementari e delle loro comunicazioni, altrettanto elementari, produrrebbe comportamenti sempre piu' complessi man mano che si sale nella scala gerarchica.

Il fascino del funzionalismo omuncolare e' che riesce a rendere conto della differenza con cui percepiamo mente e cervello: l'irriducibilita' della mente al cervello sarebbe un po' come l'irriducibilita' del continuo al discreto.

L'intenzionalita'

Uno dei problemi piu' ardui che si pone agli scienziati della mente e' quello di definire in maniera chiara e precisa cosa sia la mente.

Secondo Descartes una sostanza deve essere definita tramite quella proprieta' tale che, se la sostanza perdesse quella proprieta', non sarebbe piu' la stessa sostanza. Per gli oggetti fisici, per esempio, la proprieta' che li definisce e' l'estensione nello spazio (in altre parole gli oggetti fisici "occupano posto"). Per gli oggetti mentali Descartes non trovo' una proprieta' altrettanto intuitiva, e fece ricorso al concetto generale di "pensiero", che e' quasi una tautologia, o quantomeno si limita a spostare il problema alla definizione di cosa sia il "pensiero".

L'"intenzionalita'" si presta invece bene a tale fabbisogno in quanto, oltre a essere ben definibile, e' una proprieta' che sembra esclusiva della mente umana, che non sembra trovarsi in altre sostanze della natura. Per "intenzionalita'" i Filosofi intendono la proprieta' che uno stato faccia riferimento a un altro stato: lo stato di un oggetto non fa, generalmente, riferimento a null'altro che al fatto che quell'oggetto si trovi in quello stato. Viceversa la mente umana si puo' permettere il lusso di trovarsi in uno stato che fa riferimento a un altro stato: posso "credere" che questo libro sia ben scritto, posso "sperare" che molti lettori lo compreranno, posso "temere" che i Filosofi lo stroncheranno, e cosi' via. Questi sono tutti stati mentali che fanno riferimento ad altro (al mio libro, ai lettori, ai Filosofi e cosi' via). Per l'esattezza si dice che "credere", "sperare", "temere" sono delle "attitudini proposizionali".

Secondo Brentano gli stati mentali contengono un oggetto in maniera "intenzionale" (cioe' nel senso che vi fanno riferimento), ed e' proprio l'intenzionalita' a distinguere uno stato mentale da uno stato fisico. Ma gli stati intenzionali possono far riferimento a oggetti che non esistono: i bambini nati prima del Sessantotto credevano a Babbo Natale, gli appassionati di oroscopi temono tuttora gli ascendenti planetari e qualche ottimista spera forse che esistano dei politici non corrotti. E non e' tuttora chiaro come distinguere gli oggetti esistenti dagli altri, se nella nostra mente non c'e' nessuna differenza fra gli uni e gli altri.

Secondo Fodor la mente e' una sorta di calcolatore, capace di immagazzinare ed elaborare simboli. Le attitudini proposizionali si possono allora spiegare immaginando che una memoria di simboli sia assegnata a ogni possibile attitudine ("speranza", "desiderio", "timore", etc) e che ogni simbolo corrisponda a una delle possibili proposizioni: una particolare proposizione ("che molti lettori comprino il libro") incasellata in una particolare attitudine ("sperare") tramite un certo simbolo (X) rappresenta allora una ben precisa attitudine proposizionale. Quel simbolo costituisce pertanto una "rappresentazione mentale". Affinche' tutto cio' serva a qualcosa, la mente deve essere dotata di un insieme di regole per operare sulle rappresentazioni. Ogni nostro pensiero avrebbe pertanto origine da una trasformazione di rappresentazioni mentali tramite quelle regole.

Il mondo e le nostre esperienze nel mondo verrebbero pertanto tradotte dentro la nostra mente in questo insieme di simboli secondo quell'insieme di regole, ovvero verrebbero tradotte in un "linguaggio della mente", che Fodor ha battezzato "mentalese". Che esista un linguaggio interno alla mente Fodor lo deduce da tre fenomeni: il comportamento razionale (la capacita', cioe', di calcolare le conseguenze di un'azione), l'apprendimento di concetti (la capacita' di formare e verificare un'ipotesi) e la percezione (la capacita' di riconoscere un oggetto o un evento). Tutti questi fenomeni non sarebbero possibili se io non potessi rappresentare a me stesso gli elementi del problema. Che questo mentalese non possa essere una delle lingue a cui siamo abituati e' dimostrato a sua volta da due fatti: primo, anche altri animali, incapaci di parlare, esibiscono facolta' cognitive simili alle nostre; secondo, lo stesso atto di imparare a parlare una lingua richiede l'esistenza di un linguaggio interno di rappresentazione.

Nello schema di Fodor la mente manipola simboli senza sapere cosa quei simboli rappresentino (ovvero in maniera puramente "sintattica": la rappresentazione non determina se e a quale oggetto ci si riferisca). Si comporta cioe' proprio come un calcolatore, che elabora i simboli introdotti nella sua memoria dal programmatore senza sapere cosa rappresentino quei simboli per il programmatore. Secondo Fodor, pertanto, cio' che la mente fa e' determinato esclusivamente dalle sue strutture interne, non a cio' che quelle strutture rappresentano.

A ben guardare la teoria di Fodor e' un'estensione delle idee di Chomsky: se le frasi che un individuo e' in grado di produrre (la sua "competenza") sono infinitamente superiori alle frasi che quell'individuo pronuncera' durante la sua esistenza (la sua "performance"), vuol dire che esiste una struttura portante del linguaggio grazie alla quale si e' in grado di parlare e capire qualunque frase. Questa struttura e' una "grammatica universale" comune a tutti: ciascuno, poi, impara una delle sintassi di superficie disponibili (italiano, inglese, spagnolo, etc). Se si estende quest'intuizione al di la' del semplice fatto linguistico, si ottiene la teoria di Fodor.

Non diversamente, Marr sostiene che l'apparato visivo faccia uso di informazioni innate per decifrare i segnali di luce che percepiamo dal mondo; altrimenti quei segnali sono talmente ambigui che non potremmo mai inferire com'e' fatto il mondo. Secondo Marr l'elaborazione dei dati percettivi avviene grazie ad appositi "moduli", ciascuno specializzato in qualche funzione, che sono controllati da un modulo centrale.

Secondo Chomsky, Marr e Fodor, pertanto, il cervello contiene rappresentazioni "semantiche" (in particolare una grammatica) che sono innate e universali (ovvero di natura biologica, sotto forma di "moduli" che si attivano automaticamente) e tutti i nostri concetti possono essere scomposti in tali rappresentazioni semantiche. L'elaborazione di tali rappresentazioni semantiche e' invece puramente sintattica (le rappresentazioni hanno un significato, ma la mente non sa quale sia).

Sono state anche fornite spiegazioni biologiche del perche' la nostra mente dovrebbe funzionare in tal modo. Shepard ritiene che le specie sopravvissute alla selezione naturale abbiano sviluppato strutture innate per operare nel proprio ambiente, in maniera tale che per il singolo individuo non sia piu' necessario impararle. Tali strutture innate non contengono informazioni circa le caratteristiche degli oggetti (forma, colore, dimensione, etc), ma circa la struttura di quelle caratteristiche. Per esempio, lo spazio psicologico dei colori e' tri-dimensionale (tinta, luminosita', saturazione) ed euclideo. Gli spazi psicologici rifletterebbero insomma l'adattamento evolutivo al nostro ambiente.

Grazie all'intenzionalita' e' pertanto possibile proporre un modello di come la mente funzioni. Purtroppo non solo non e' detto che quel modello sia giusto, ma non e' neppure detto che la mente sia l'unico sistema intenzionale.

Oltre alla mente umana esistono infatti altri oggetti che fanno riferimento ad altro, e cioe' gli strumenti di misura: il termometro, che fa riferimento alla temperatura dell'ambiente, il tachimetro, che fa riferimento alla velocita' dell'auto, la spia della benzina, o persino l'allarme anti-incendio e l'anti-furto; e, naturalmente, il computer, l'unico a poter rivaleggiare con la mente umana. Dretske ha cosi' definito l'intenzionalita': "Ogni sistema fisico i cui stati interni dipendono ... dal valore di una grandezza esterna ... e' un sistema intenzionale".

Dretske ha ripreso dalla teoria dell'informazione di Shannon e Weaver l'idea che uno stato trasporta informazione su un altro stato nella misura in cui dipende (secondo una qualche legge) da quello stato. In questo modo la proprieta' di intenzionalita' viene ricondotta alla relazione di causa ed effetto: ogni effetto si riferisce alla sua causa. E l'intenzionalita' diventa una proprieta' piuttosto comune, tutt'altro che esclusiva della mente umana.

L'intenzionalita' potrebbe dimostrare la superiorita' e l'unicita' della mente umana soltanto se si riuscisse a definire la differenza fra l'intenzionalita' della mente e l'intenzionalita' degli altri sistemi intenzionali. Cio' e' certamente possibile; ma, se un termometro potesse obiettare, sarebbe forse tentato di sostenere che i contenuti degli stati della nostra mente sono tanto diversi da quelli degli stati di altri sistemi intenzionali quanto i contenuti dei suoi stati (del termometro) sono diversi dagli stati del tachimetro. Ognuno tende a vedere i propri contenuti come piu' importanti e "unici", ma la realta' e' che non esiste un sistema di valori assoluto rispetto al quale stilare una classifica dell'intenzionalita'.

Adottando la teoria ecologica di Gibson e Neisser, Dretske ci propone la visione di un mondo in cui l'informazione e' presente nell'ambiente e gli agenti cognitivi (cioe' noi) si limitano ad assimilarla. E' da questo processo di assimilazione che avrebbero origine gli stati interni della mente. Ma questo e' esattamente cio' che fa uno strumento di misura: prelevare dell'informazione che e' presente nell'ambiente e usarla per costruire un proprio stato interno. Entrambi i fenomeni (quello della mente e quello del termometro) sono casi particolari dell'interazione fra organismo e ambiente.

Dawkins contesta persino che l'organismo da solo abbia una rilevanza biologica: cio' che ha senso studiare e' un sistema aperto composto dall'organismo e dai suoi contorni. Per esempio, la ragnatela fa ancora parte del ragno, alcuni crostacei crescono la propria conchiglia mentre altri se la cercano, e cosi' via. Il controllo che un organismo esercita non e' totale al proprio interno e nullo all'esterno: piuttosto si ha un continuo di gradi di controllo, che ammette una parzialita' di controllo al proprio interno (tant'e' che diversi parassiti agiscono sul sistema nervoso dei loro ospiti) e un'estensione del controllo all'esterno (come nel caso della ragnatela). Viceversa, non e' detto che dentro i contorni dell'organismo esista un'unica psicologia: basta pensare al caso degli schizofrenici. Dawkins ridimensiona in tal modo l'importanza dei singoli organismi e conferisce invece un primato al "fenotipo esteso", che si estende fin dove arriva il suo controllo. Millikan, riprendendo questa teoria biologica, sostiene che, nel determinare la funzione di un "sistema", il sistema non e' solamente l'organismo, ma qualcosa che si estende anche al di la' della sua pelle. Non solo: per assolvere alla sua missione, il sistema ha spesso bisogno della cooperazione di altri sistemi: per esempio, il sistema immunitario puo' funzionare soltanto se il corpo viene invaso da virus.

In realta' l'obiezione piu' forte che il termometro deve fronteggiare e' quella che e' stato costruito dall'uomo.

Questa obiezione non regge pero' nei confronti dell'informazione biologica, che e' molto diffusa in natura, dal DNA ai cerchi dei tronchi degli alberi, e che e' quasi sempre relativa ad altro, e non e' stata costruita da nessuno. I Filosofi si dimenticano anche spesso che la mente umana non e' l'unica mente esistente: perlomeno i mammiferi e gli uccelli hanno una mente non troppo diversa dalla nostra, e presumibilmente sono in grado di provare desideri, speranze e paure. L'intenzionalita' sembra, insomma, essere, non un privilegio della mente umana, bensi' una proprieta' assai diffusa in natura.

Si potrebbe persino sostenere che l'intenzionalita' sia una proprieta' generale di tutto l'universo: persino un sasso, al limite, fa riferimento in mille modi all'ambiente in cui si trova.

Searle sostiene, in effetti, che l'intenzionalita' sia una proprieta' biologica (non solo umana, ma non addirittura fisica).

Dennett distingue tre strategie utili per spiegare e predire il comportamento di un sistema: fisica ("physical stance"), che inferisce il comportamento dalla struttura fisica e dalle leggi fisiche; funzionale ("design stance"), che inferisce il comportamento dalla funzione per cui e' stato progettato (per esempio, riusciamo a predire quando una sveglia suonera' anche senza conoscere il meccanismo interno dell' orologio); e intenzionale ("intentional stance"), che inferisce il comportamento dalle convinzioni e dai desideri che quel sistema deve avere se e' un essere razionale (per esempio, se Vincenzo e' un essere razionale, quando si siede a tavola e si lega il tovagliolo attorno al collo, vuole mangiare e crede che Giusi abbia preparato il pranzo, e, conoscendo Giusi, non e' difficile predire che mangera'). L'"atteggiamento intenzionale" ("intentional stance") e' pertanto l'insieme delle convinzioni e dei desideri di un organismo, ed e' cio' che ci consente di prevedere le sue azioni. Convinzioni e desideri non sono stati interni della mente che causano un comportamento, ma semplicemente strumenti di calcolo per predire il comportamento; come se fossero dei costrutti logici che servono soltanto mentre si compiono dei calcoli.

Il processo che definisce come le convinzioni e i desideri si formano e come determinano il comportamento dell'organismo ha origini biologiche. Dennett assume che, se un organismo e' sopravissuto alla selezione naturale, la maggioranza delle sue convinzioni sono vere e l'uso che fa delle sue convinzioni e' per lo piu' "razionale" (usa le proprie convinzioni per soddisfare i propri desideri).

Interpretato in chiave biologica (e cioe' in termini di bisogni primari), l'"atteggiamento intenzionale" finisce per descrivere anche come quell'organismo e' legato al suo ambiente, quale informazione ha acquisito e quale azione si prepara a compiere. L'organismo riflette in continuazione l'ambiente, in quanto l'organizzazione stessa del suo sistema ne contiene implicitamente una rappresentazione.

Per Dennett gli stati intenzionali non sono stati interni del sistema, ma descrizioni della relazione fra il sistema e il suo ambiente (per esempio, un sistema ha paura del fuoco se si trova in una certa relazione con il fuoco). Inoltre non esiste uno stato intenzionale separato dagli altri, ma, olisticamente, ha senso parlare soltanto dello stato cognitivo di un organismo nel suo complesso, e della sua relazione complessiva con l'ambiente. In altre parole l'attitudine proposizionale e' data da un'"attitudine nozionale", che e' indipendente dal mondo reale, e da una componente dovuta al mondo reale.

Una "attitudine nozionale" e' definita rispetto a un "mondo nozionale" ("notional world"): i mondi nozionali di un agente sono i mondi in cui tutte le convinzioni di quell'agente sono vere e tutti i suoi desideri sono realizzabili. Per esempio, io e il mio doppio sulla Terra gemella di Putnam abbiamo lo stesso mondo nozionale, benche' viviamo in due mondi reali diversi; io e Vincenzo viviamo nello stesso mondo reale, ma abbiamo due mondi nozionali diversi. In questo modo Dennett riesce a risolvere anche il paradosso di Putnam: io e il mio doppio sulla Terra gemella di Putnam abbiamo le stesse "attitudini nozionali", e le diverse attitudini proposizionali riguardo l'acqua sono dovute unicamente ai rispettivi ambienti.

In definitiva l'intenzionalita' definisce un organismo in funzione delle sue convinzioni e dei suoi desideri, i quali sono il prodotto della selezione naturale. Quanto piu' i mondi nozionali di un agente si discostano da quello reale, tanto minore e' la capacita' di adattamento dell'agente al proprio ambiente. E' la funzione biologica dei meccanismi cognitivi a fissare convinzioni e desideri, e questi devono essere rispettivamente veri e possibili per essere utili alla sopravvivenza della specie. Se incontrassimo su un altro pianeta esseri non umani ma che si comportano esattamente come gli umani, saremmo egualmente in grado di fornire spiegazioni e predizioni intenzionali riguardo il loro comportamento, in quanto il processo di selezione naturale ha fatto in modo che anche questi esseri rispondano agli stimoli dell'ambiente nello stesso modo (razionale) in cui rispondono gli esseri umani.

Come la Biologia non puo' fare a meno del postulato di ottimalita' dei sistemi adattati all'ambiente, cosi' la Psicologia non puo' fare a meno del postulato di razionalita' dei sistemi intenzionali. Sono aspetti complementari della selezione naturale e, in ultima analisi, dell'evoluzione delle specie.

La teoria di Dennett consente di interpretare l'intenzionalita' in un contesto ecologico (alla Gibson e Neisser, come risposta all'informazione dell'ambiente), in un contesto etologico (sotto forma di profilo cognitivo della specie, cioe' a quale informazione quella specie e' sensibile) e in un contesto filogenetico (come un organismo sia evoluto per adattarsi cognitivamente al suo ambiente).

Bibliografia:


 Armstrong D. (1981): The nature of mind (Cornell Univ Press)
 Chomsky N. (1975): Reflections on language (Pantheon, 1975)
 Dawkins R. (1982): The extended phenotype (OUP)
 Dawkins R. (1986): The blind watchmaker (Bath Press)
 Dennett D. (1978): Brainstorms (MIT Press)
 Dennett D. (1987): The intentional stance (MIT Press)
 Dretske F. (1981): Knowledge and the flow of information (MIT Press)
 Dretske F. (1988): Explaining behavior (MIT Press)
 Fodor J. (1975): Language of thought (Crowell)
 Fodor J. (1981): Representations (MIT Press)
 Fodor J. (1983): Modularity of mind (MIT Press)
 Gibson J. (1979): The ecological approach to perception (Houghton Mifflin)
 Lewis D. (1983): Philosophical papers (Oxford Press)
 Lycan W. (1987): Consciousness (MIT Press)
 Marr D. (1982): Vision (W. H. Freeman)
 Millikan R. (1987): Language, thought and other biological categories (MIT Press)
 Millikan R. (1991): What is behavior? (MIT Press)
 Minsky M. (1985): The society of mind (Simon & Schuster)
 Neisser U. (1975): Cognition and reality (Freeman)
 Putnam H. (1975): Mind, language and reality (Cambridge Univ Press)
 Putnam H. (1975): Meaning and the moral sciences (Routledge & Kegan Paul)
 Putnam H. (1988): Representation and reality (MIT Press)
 Searle J. (1979): Expression and meaning (Cambridge Univ Press)
 Shepard R. (1989): Internal representation of universal regularities (in Nadel: Neural connections, MIT Press)
 Smart J. (1959): Sensations and brain processes (Philosophical review n.68 p.141)
[Indietro]-[Avanti]