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GLI INEDITI
Le parole e noi

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Un fenomeno che sembra trascendere il linguaggio e' quello della metafora (e affini). Si tratta in realta' di un fenomeno di "creativita'", di capacita' di creare nuove strutture di pensiero. In ultima analisi potrebbe illuminare proprio su come si crea il pensiero stesso.

La metafora

Chomsky fondo' la sua rivoluzione linguistica sulla "produttivita'" degli agenti linguistici: siamo in grado di produrre frasi che non abbiamo mai ascoltato e siamo in grado di produrre anche infinite frasi che non produrremo mai. Lyons fa pero' notare che la produttivita' non esaurisce la potenza espressiva del linguaggio: non siamo soltanto produttivi, siamo anche "creativi". Siamo cioe' in grado di "estendere" la semantica del nostro sistema linguistico. Quando dico "collo di bottiglia", non voglio soltanto significare l'oggetto che forma il collo di una bottiglia, ma un fenomeno assai piu' complesso, che, a seconda del contesto, puo' assumere connotati assai diversi (da un ingorgo del traffico a una cattiva organizzazione del mio tempo libero). La metafora e' un tale fenomeno creativo.

Secondo Lakoff la metafora svolge un ruolo determinante nel pensiero umano (e non soltanto nel linguaggio) ed e' infatti usata massicciamente nelle comunicazioni quotidiane. Lakoff afferma che il nostro sistema concettuale, le fondamenta stesse del nostro pensare e del nostro parlare, e' di natura metaforica. Whorf sostiene addirittura che la lingua influenza il pensiero in quanto contiene una metafisica nascosta, e pertanto finisce per imporre a chi la parla una visione particolare del mondo. Cosi', per esempio, il fatto che l' italiano abbia una sola parola, "ancora", al posto delle parole inglesi "still" e "yet" potrebbe condizionare il modo in cui gli italiani e gli inglesi concepiscono le due situazioni di essere "ancora cosi'" oppure "non ancora cosi'". Way e' convinta che la metafora sia l'essenza stessa della nostra capacita' di rappresentare il mondo e in particolare la metafora costituirebbe un meccanismo piu' appropriato della logica per rappresentare la conoscenza.

Il numero delle metafore usate quotidianamente e' sterminato: il mercato ha preso il volo, il dollaro e' in ascesa, e' calato il tramonto sul grande campione, l'alba di una nuova era, mettersi in luce, cadere in basso, mettere a fuoco, avere carta bianca, prendere corpo, mettere carne al fuoco, ingannare l'attesa, non avere ne' capo ne' coda, fare un bidone, fare di tutte l'erbe un fascio, mettere il sale sulla coda, lavare i panni sporchi in famiglia, correre sul filo del rasoio, arrampicarsi sugli specchi, essere tutto d'un un pezzo, essere in alto mare, levare le tende, mostrare i denti, tirare le cuoia, spezzare una lancia, saltare il fosso, avere la coda di paglia, saltare di palo in frasca, metter con le spalle al muro, senza sbocco, mosca bianca, pecora nera, tigre di carta, uomo di pezza, testa di ponte...

Una metafora consiste di una sorgente, una destinazione e una proiezione analogica. Per esempio, nella metafora "Cinzia e' tornata abbronzatissima dalle vacanze: la sua faccia sembra un peperone" il peperone e' la sorgente, la faccia di Cinzia e' la destinazione, e la proiezione analogica "trasferisce" il colore del peperone alla faccia di Cinzia.

La metafora e' un processo estremamente efficiente di trasmissione dell'informazione: una metafora specifica all'interlocutore che le proprieta' della sorgente possono essere applicate anche alla destinazione, una volta effettuati i dovuti adattamenti.

La metafora presuppone implicitamente che l'ascoltatore riesca 1. a riconoscere le similarita' fra sorgente e destinazione (per esempio il fatto che entrambe sono rosse); 2. a isolare le proprieta' che si intende trasferire dall'una all'altra, e soltanto quelle (per esempio, il colore, e non la forma, che pero' sarebbe piu' probabile se si trattasse di un mal di denti); 3. a compiere l'adattamento dal contesto della sorgente (colore di un vegetale) al contesto della destinazione (colore di una parte anatomica).

Il criterio di similarita' e' pertanto quello che stabilisce innanzitutto se si tratta o meno di una metafora. E' chiaro che la similarita' non puo' essere espressa che per gradi, ma non e' chiaro come. Tversky ha stabilito sperimentalmente che la similarita' fra due concetti e' proporzionale all'intersezione delle loro proprieta' e inversamente proporzionale alle loro differenze (le proprieta' del primo concetto che il secondo non possiede e le proprieta' del secondo che il primo non possiede, queste ultime a quanto pare piu' delle altre). Cio' nonostante la metafora non sembra obbedire soltanto a regole di similarita', in quanto diverse proprieta' dei concetti non vengono prese in considerazione per nulla. Johnson-Laird fa notare che il problema e' teoricamente insolubile in quanto le possibili similarita' fra due concetti sono infinite: il problema non e' quello di "trovare" somiglianze, ma quello di "restringere" l'insieme delle somiglianze possibili.

Esistono diversi approcci alla metafora. Quello "comparativo" di Gentner assume che una metafora sia un confronto in base al quale si stabilisce che un termine assomiglia parzialmente a qualcos'altro. Gentner individua quattro tipi di confronto, ovvero quattro tipi di metafora: somiglianza letterale (molte proprieta' vengono trasferite da un concetto a un altro, per esempio in "la mia auto funziona come la tua"), analogia (soltanto, o quasi soltanto, le proprieta' relazionali vengono trasferite, per esempio in "l'atomo e' un sistema solare"), astrazione (la sorgente e' una struttura relazionale, come in "Dario e' una forza della natura") e anomalia (una costruzione che tecnicamente e' una metafora ma che in pratica non significa nulla, per esempio "Dario e' come un tavolo"). Quali e quante proprieta' vengano trasferite per analogia dalla metafora e' determinato dal "principio di sistematicita'": le relazioni contenute nella sorgente sono prioritarie rispetto agli attributi della sorgente, e relazioni di ordine superiore della sorgente sono prioritarie rispetto a relazioni di ordine inferiore. Cosi' una relazione o un attributo che compaia in diverse altre relazioni e' un candidato molto probabile per essere trasferito dalla sorgente alla destinazione.

Nell'approccio "interazionista" di Black la metafora e' il mezzo per vedere un oggetto in una luce diversa (Black la paragona a un filtro, usando a sua volta una metafora), ovvero per riorganizzare le proprieta' della destinazione. Secondo Black la metafora non "esprime" una similarita', ma la "crea". Inoltre la metafora si basa sulla similitudine e sull'analogia, ma non e' ne' l'una ne' l'altra: e' capace anche e soprattutto di agire sull'organizzazione del lessico e, in ultima analisi, sul modo di modellare il mondo stesso. Il linguaggio e' pertanto un'entita' dinamica, che puo' evolversi e all'interno del quale cio' che e' letterale puo' diventare metaforico e viceversa.

L'approccio "di devianza semantica" di Wilks intende la metafora come la violazione di regole di restrizione all'interno di un dato contesto, ed e' proprio questa violazione a far comprendere la metafora. In altre parole le metafore sono "sgrammaticate", ma lo sono "intenzionalmente". Il "correre sul filo del rasoio" o "la dissoluzione" dell'Unione Sovietica sono esempi di casi in cui le regole di restrizione (quelle del verbo "correre" e quelle del sostantivo "dissoluzione") vengono violate (rispettivamente dal "filo del rasoio", che uno normalmente non associerebbe all'azione di "correre", e da una nazione, che uno normalmente non assocerebbe al fenomeno del dissolversi). Wilks sottolinea che queste frasi, metaforiche o meno che siano, sono la "norma", non l'"eccezione", del linguaggio.

Nunberg, fautore dell'approccio "pragmatico", definisce la metafora come un discorso in cui il parlante a) usa un'espressione E per riferirsi al fatto F nel contesto C anche se esiste un'altra espressione per riferirsi a F che il parlante sa essere piu' semplice da capire per l'ascoltatore; b) sa che l'uso di E non e' razionale, ma si aspetta che l'ascoltatore si renda conto che non lo e' e che lui e' cosciente che non lo e'; c) agisce secondo il principio cooperativo e si aspetta che l'ascoltatore lo sappia. Qualunque espressione che ricada in questo schema e' per Nunberg una metafora (quindi anche le metonimia e le sineddoche). Nunberg fa in effetti notare che la metafora non e' affatto la specialita' dei poeti: proprio i meno abili nell'usare il linguaggio sono coloro che fanno piu' spesso ricorso alla metafora. Lo "slang" dei quartieri poveri (o anche soltanto quello dei ragazzi) e' molto piu' ricco di metafore che non la lingua "alta" delle accademie; come ben sa chiunque ascolti musica heavymetal o rap. La metafora puo' addirittura essere usata per identificarsi in un certo ambiente sociale (vedi appunto il rap, dove un certo modo di parlare metaforico e' conditio sine qua non per essere presi sul serio dai teenager dei ghetti).

Infine l'approccio "concettuale" di Lakoff distingue tre tipi di metafora: "orientazionale" (nella quale usiamo la nostra esperienza con l'orientamento spaziale, come in "in alto si respira aria piu' pura"), "ontologica" (nella quale usiamo la nostra esperienza con gli oggetti fisici, come in "il tempo passa"), "strutturale" (nella quale i tipi naturali vengono usati per definire altri concetti, come in "il tempo e' denaro"). Ogni metafora, inoltre, apparterrebbe a una di un certo numero di possibili classi concettuali, ovvero ogni metafora potrebbe essere ricondotta a una metafora primitiva.

Lakoff fa notare come in generale le metafore "concettuali" trasportino proprieta' di strutture del mondo fisico in strutture non fisiche (e' appunto il caso di "il tempo e' denaro"). La ragione sta probabilmente nel fatto che gli oggetti fisici hanno proprieta' ben determinate e di cui abbiamo esperienza diretta; mentre entita' astratte, come "il tempo", che sfuggono a una definizione precisa e non sono percepibili dai sensi, sarebbero piu' difficili da esprimere nel linguaggio. Estendendo questo pensiero si puo' speculare che il linguaggio sarebbe forse nato per trattare degli oggetti fisici, e soltanto in un secondo tempo esteso anche ai concetti non fisici. Quinn e Holland, per esempio, sostengono che gli oggetti fisici, avendo proprieta' spaziali, consentono di costruire modelli mentali, quelli non fisici invece no; l'unico modo di costruire un modello mentale per un oggetto non fisico e' di trasferire il modello di un oggetto fisico, appunto attraverso una metafora. Ecco allora che i sentimenti "sbiadiscono", i sogni "si infrangono", la fiducia "crolla" e cosi' via. I comici usano spesso metafore per descrivere un'entita' astratta tramite un oggetto fisico che esibisce proprieta' simili; piu' elaborata e' la metafora, piu' comico risulta lo scherzo.

Implicito nel pensiero di molti e' il postulato che il processo di comprensione di una metafora sia sostanzialmente un processo di ragionamento per analogia. Secondo Martin, invece, la metafora non richiede alcun tipo di ragionamento analogico. La metafora e' semplicemente una convenzione linguistica all'interno di una comunita' linguistica, una sorta di "abbreviazione" per esprimere un concetto che altrimenti richiederebbe troppe parole. Per esempio, "collo di bottiglia" significa "quell'ostacolo che impedisce o rende piu' difficile raggiungere un certo obiettivo"; quando uso l'espressione "collo di bottiglia", il mio ascoltatore non ha bisogno di compiere un ragionamento analogico, di trasferire proprieta' dalla bottiglia al contesto di cui stiamo conversando e cosi' via: capisce l'espressione "al volo". Anzi, e' molto probabile che qualcuno non si sia mai neppure accorto che "collo di bottiglia" si riferisce letteralmente a una parte della bottiglia. Esisterebbero alcune classi primitive di metafore (alla Lakoff) sulla base delle quali verrebbero poi costruite tutte le altre. La metafora verrebbe pertanto costruita e compresa esattamente come ogni altra entita' lessicale (nomi, verbi, articoli, etc).

Way ritiene che il requisito fondamentale di una teoria della metafora sia proprio quello di riuscire a "comprendere" una metafora senza dover prima comprendere il senso letterale della frase. La metaforicita' e' una proprieta' intrinseca del linguaggio e deve aver origine da una proprieta' intrinseca della conoscenza. Way non fa altro che estendere il formalismo dei grafi concettuali di Sowa introducendo una gerarchia di tipi dinamici: la gerarchia di Sowa e' statica ed e' neutra rispetto al contesto (e' soltanto un ordinamento astratto di tipi e sottotipi), ma Way consente di osservarla da diverse prospettive (o "maschere"); a seconda delle prospettiva una frase puo' essere letterale, metaforica o figurativa. Il significato della frase e' pertanto determinato da questa prospettiva: la stessa frase ha tanto un significato letterale quanto un significato metaforico, ma tra i due non esiste alcuna relazione diretta, bensi' sono semplicemente aspetti diversi della stessa struttura linguistica.

Secondo Kittay il significato di una parola e' determinato dalle altre parole ad essa associate nel lessico. Non ha pertanto senso parlare di "significato di una parola", quanto di "campo di significato": un campo semantico e' un insieme di parole che sono semanticamente collegate fra di loro. La metafora e' allora un processo di trasferimento di strutture semantiche fra due campi semantici: qualche struttura del primo campo crea o riorganizza una struttura nel secondo campo.

La metonimia

La metonimia e' il processo di far riferimento a qualcosa tramite il nome di qualcos'altro che e' in qualche modo associato ad esso. Per esempio, nella frase "La Casa Bianca ha annunciato un attacco contro l'Iraq" l'edificio della Casa Bianca fa riferimento al governo statunitense. Secondo Lakoff in una metonimia un'entita' sta per un'altra, mentre in una metafora un'entita' viene vista come un'altra. Esistono diversi tipi di metonimia: il "contenitore per contenuto" (per esempio, "ho bevuto soltanto due bicchieri"); il "prodotto per produttore" ("ho comprato una Fiat"), l'"oggetto per utente" ("le scuole faranno sciopero"), e cosi' via.

In generale la metonimia e' fondata sulla contiguita', mentre la metafora e' fondata sulla similarita'. Nella metafora la proprieta' di un concetto viene messa in relazione con la proprieta' di un altro concetto; nella metonimia un intero concetto viene messo in relazione con la proprieta' di un altro concetto. Nella metafora la relazione fra i due termini e' una relazione strutturale (di analogia); nella metonimia la relazione e' relativa a conoscenza specifica del contesto. Si pensi alla differenza fra la metafora "la mia auto beve molta benzina" e la metonimia "ho bevuto un bicchiere".

I verbi comandati

In molti casi l'elemento sintattico non e' neppure la singola parola, a ben guardare, ma un'intera espressione. Per esprimere certe azioni sono possibili soltanto alcune combinazioni di parole. Nelle espressioni seguenti non e' possibile scambiare il verbo con un suo sinonimo o il sostantivo con un suo sinonimo, poiche' altrimenti la frase non sarebbe piu' riconosciuta come valida: apparecchiare la tavola, condurre una vita, godere di una popolarita', trarre lo spunto, prendere provvedimenti, girare un film, prendere l'ascensore, prendere l'autostrada, destare stupore, intonare un inno, levare una preghiera, somministrare una dose, ...

Tutti questi "termini composti" presentano una parziale analogia con la metafora: vengono compresi nel loro complesso, senza bisogno di scomporli nelle parole che li compongono. Il significato letterale dell'espressione "apparecchiare la tavola" non e' chiaro cosa sia: esiste il significato dell'intera espressione, che corrisponde a un'azione ben precisa.

I processi metaforici

Poche grammatiche prendono in considerazione le metafore e le metonimie. La semantica della preferenza di Wilks riconosce frasi letterali, anomale e metaforiche (queste ultime sono quelle che violano i vincoli di preferenza semantica); quella "collattiva" di Fass, che ne e' una estensione, riconosce anche le metonimie: due delle sue relazioni semantiche (ovvero due dei tipi di percorso che possono mettere in relazione due parole) corrispondono a metonimia e metafora, e, per l'esattezza, la metonimia viene interpretata come una forma di inferenza relativa al dominio.

Un problema e' quale valore di verita' si possa assegnare a una frase metaforica. La frase "Dario e' un vulcano" e' ovviamente falsa; ma al tempo stesso esprime una verita' su cui concorderebbero tutti gli amici di Dario. Il duplice significato della metafora e' in realta' un caso particolare dell'ambiguita' del linguaggio. Siamo in grado di capire "Dario e' un vulcano" esattamente come siamo in grado di capire "Il piano e' bello" (che puo' riferirsi tanto a uno strumento musicale quanto a uno schema di azione). In entrambi i casi l'ambiguita' esiste, ma, paradossalmente, "non e' possibile" sbagliare: se sbagliamo a interpretare la frase, la frase risulta senza senso nel discorso o nel contesto di cui fa parte.

Molte metafore sono ormai talmente radicate nel linguaggio che non siamo piu' in grado di riconoscerle come tali (per esempio, "ai piedi della montagna"). Queste frasi non hanno assolutamente nulla di ambiguo, anche se "letteralmente" sarebbero da considerare false (le montagne non hanno piedi). Quelle metafore, quasi sempre, servono ad esprimere dei concetti per i quali non esiste una parola nel linguaggio. Quella "parola" mancante viene costruita tramite altre parole attraverso una metafora. E non e' chiaro dove ci si debba fermare andando a ritroso alla ricerca delle origini del linguaggio. E' possibile che molti termini tramandati dalle lingue antiche non fossero a loro volta null'altro che metafore, compresse nel tempo in parole singole. Turbayne ritiene che tutto il linguaggio sia metaforico. In effetti il linguaggio non puo' mai rappresentare "letteralmente" il mondo; puo' soltanto "modellare" il mondo. Per definizione, pertanto, non esiste il significato "letterale" di una frase. C'e' insomma una metafora, una teoria del mondo, alla base dell'intero linguaggio umano. Non sarebbe pertanto la metafora ad essere un fenomeno linguistico, ma il linguaggio ad essere un fenomeno metaforico. Secondo Lakoff, analogamente, la comprensione del linguaggio consiste sempre nel comprendere una cosa in termini di un'altra. Tutti i nostri concetti sono di natura metaforica e sono basati sulla nostra esperienza fisica.

Gli esperimenti di Ortony sembrano confermare che esiste un unico processo di comprensione del linguaggio, il quale e' lo stesso sia per le frasi letterali che per quelle metaforiche. Gli esperimenti di Keil sembrano a loro volta dimostrare che la comprensione delle metafore dipende dallo stadio evolutivo e dalla conoscenza: Keil riesce a prevedere quando i bambini riusciranno a comprendere certe metafore sulla base dell'ordine in cui acquisiscono certe distinzioni ontologiche; per esempio, "L'idea non e' matura" viene compresa dopo "L'auto ha sete" poiche' il bambino sviluppa prima la distinzione fra oggetti animati e inanimati che non fra quelli concreti e quelli astratti.

La stessa frase puo' assumere diversi significati, a seconda del livello (letterale o metaforico) a cui la si legge. Resta da stabilire se esistano soltanto due livelli di lettura di una frase, o se non ne possano esistere un numero infinito, con una gradazione infinitesima; se, cioe', nel linguaggio non sia connaturato un grado di liberta' che da' luogo ad ambiguita', e tale ambiguita' non possa essere sfruttata per costruire significati diversi dalla stessa frase, ampliando in tal modo a dismisura il potere espressivo del linguaggio. La retorica, che avrebbe allora origine proprio da questa ambiguita' di fondo del linguaggio, sarebbe il vero scopo del linguaggio. Ogni teoria composizionale del linguaggio, assumendo che il significato di un insieme ordinato di parole sia funzione soltanto del significato di ciascuna parola, finirebbe per snaturarne lo scopo e sminuirne il grado di creativita': ogni insieme ordinato di parole avrebbe invece un numero infinito di possibili significati grazie a quel margine di ambiguita' (creativita'), e la stessa parola sarebbe in ultima analisi una metafora.

L'ambiguita' del linguaggio e' al centro della teoria di MacCormac, il quale riprende la teoria interazionista di Black alla luce della logica fuzzy. E' la logica fuzzy a consentirgli di rappresentare le verita' "parziali" del linguaggio metaforico: il significato di una frase puo' appartenere a diversi concetti con diverso grado di appartenenza.

Per l'esattezza MacCormac adotta una logica a quattro valori e la classificazione di Wheelwright: "epifore" sono le metafore che servono a esprimere l'esistenza di qualcosa (quelle che mettono in risalto delle somiglianze), "diafore" sono le metafore che servono a suggerire la possibilita' di qualcosa (quelle che mettono in risalto delle differenze). Una diafora (per esempio, il "buco nero") puo' diventare un'epifora (quando avremo una conferma definitiva dell'esistenza dei buchi neri) e un'epifora puo' diventare un'espressione letterale (quando l'uso del termine "buco nero" sara' cosi' diffuso e comune che la sua origine sara' stata dimenticata).

La funzione di appartenenza fuzzy puo' assumere i quattro valori: falso, diaforico, epiforico, vero. Nessuna metafora e' puramente diaforica, ovviamente, altrimenti non sarebbe piu' una metafora; ma la metafora "Dario e' un vulcano", per esempio, contiene l'elemento diaforico dato dal contrasto fra l'essere animato "Dario" e l'essere inanimato "vulcano". Alcune metafore sono piu' epiforiche, altre sono piu' diaforiche; ma in tutte si possono trovare entrambe le componenti.

La metafora puo' allora essere analizzata a tre diversi livelli: a livello linguistico e' un processo sintattico e semantico; a livello sociale e' un processo evolutivo che fa passare da linguaggio ordinario a diafora a epifora e di nuovo a linguaggio ordinario; e a livello cognitivo e' un processo evolutivo di acquisizione della conoscenza. Comunque sia, la metafora e' innanzitutto un processo.

Tirando le somme: le somme non si tirano, eppure si tirano le somme

La creativita' metaforica e' una proprieta' fondamentale del pensiero:

Bibliografia


 Black M.  (1962): Models and metaphors (Cornell Univ Press)
 Keil F. (1979): Semantic and conceptual development (Harvard Univ Press)
 Kittay E. (1987): Metaphor (Clarendon Press)
 Lakoff G. & Johnson M. (1980): Metaphors we live by (Chicago Univ Press)
 Lakoff G. (1987): Women fire and dangerous things (Univ of Chicago Press)
 MacCormac E. (1985): A cognitive theory of metaphor (MIT Press)
 Martin J. (1990): A computational model of metaphor interpretation (Academic Press)
 Ortony A. (1979): Metaphor and thought (Cambridge Univ Press)
 Turbayne C. (1962): The myth of metaphor (Yale Univ Press)
 Way E. (1991): Knowledge representation and metaphor (Kluwer Academic)
 Wheelwright P. 91962): Metaphor and reality (Indiana Univ Press)
 Whorf B. (1956): Language, thought and reality (MIT Press)
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