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IL SAGGIATORE


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"Sed ne poëtarum testimonium, vel eo ipso poëtæ nomine, suspectum alicui videatur (quamquam eosdem ex communi saltem omnium sensu locutos scimus), ad alios venio magnæ etiam auctoritatis ac fidei viros. Suidas igitur in Historicis, verbo peridinounteV hæc narrat: "Babylonii iniecta in fundas ova in orbem circumagentes, rudis et venatorii victus non ignari, sed iis rationibus quas solitudo postulat exercitati, etiam crudum ovum impetu illo coxerunt." Hæc ille. Iam vero si quis tantarum causas rerum inquirat, audiat Senecam philosophum, quando hic inter cæteros Galilæo probatur, de his philosophice disputantem. Ille enim, ex sententia, primum, Posidonii, "In ipso aëre, inquit, quidquid attenuatur, simul siccatur et calet"; ex sua vero sententia, "Non est, inquit, assiduus spiritus cursus, sed quoties fortius ipsa iactatione se accendit, fugiendi impetum capit." Sed longe hæc apertius alibi, ubi fulminis causas inquirens, "Id evenit, inquit, ubi in ignem extenuatus in nubibus aër vertitur, nec vires quibus longius prosiliat invenit" (audiat iam quæ sequuntur Galilæus, sibique dicta existimet): "non miraris, puto, si aëra aut motus extenuat, aut extenuatio incendit; sic liquescit excussa glans funda, et attritu aëris velut igne distillat." Nescio sane, an diserte magis aut clarius dici unquam id posset. Sive igitur poëtarum optimis, sive philosophis credas, vides, quicumque hac de re dubitas, atteri posse per motum aërem, atque ita incalescere, ut vel plumbum eius calore liquescat. Nam quis hic existimet, viros virorum florem eruditissimorum, cum de iis loquerentur quorum in re militari quotidianus erat etiam tunc usus, egregie adeo atque impudenter mentiri voluisse? Equidem non is sum, qui sapientibus hanc notam inuram."

Io non posso non ritornare a meravigliarmi, che pur il Sarsi voglia persistere a provarmi per via di testimonii quello ch'io posso ad ogn'ora veder per via d'esperienze. S'essaminano i testimonii nelle cose dubbie, passate e non permanenti, e non in quelle che sono in fatto e presenti; e così è necessario che il giudice cerchi per via di testimonii sapere se è vero che ier notte Pietro ferisse Giovanni, e non se Giovanni sia ferito, potendo vederlo tuttavia e farne il visu reperto. Ma più dico che anco nelle conclusioni delle quali non si potesse venire in cognizione se non per via di discorso, poca più stima farei dell'attestazioni di molti che di quella di pochi, essendo sicuro che il numero di quelli che nelle cose difficili discorron bene, è minore assai che di quei che discorron male. Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno più sacca di grano che un caval solo, io acconsentirei che i molti discorsi facesser più che un solo; ma il discorrere è come il correre, e non come il portare, ed un caval barbero solo correrà più che cento frisoni. Però quando il Sarsi vien con tanta moltitudine d'autori, non mi par che fortifichi punto la sua conclusione, anzi che nobiliti la causa del signor Mario e mia, mostrando che noi abbiamo discorso meglio che molti uomini di gran credito. Se il Sarsi vuole ch'io creda a Suida che i Babilonii cocesser l'uova col girarle velocemente nella fionda, io lo crederò; ma dirò bene, la cagione di tal effetto esser lontanissima da quella che gli viene attribuita, e per trovar la vera io discorrerò così: "Se a noi non succede un effetto che ad altri altra volta è riuscito, è necessario che noi nel nostro operare manchiamo di quello che fu causa della riuscita d'esso effetto, e che non mancando a noi altro che una cosa sola, questa sola cosa sia la vera causa: ora, a noi non mancano uova, né fionde, né uomini robusti che le girino, e pur non si cuocono, anzi, se fusser calde, si raffreddano più presto; e perché non ci manca altro che l'esser di Babilonia, adunque l'esser Babiloni è causa dell'indurirsi l'uova, e non l'attrizion dell'aria", ch'è quello ch'io volevo provare. È possibile che il Sarsi nel correr la posta non abbia osservato quanta freschezza gli apporti alla faccia quella continua mutazion d'aria? e se pur l'ha sentito, vorrà egli creder più le cose di dumila anni fa, succedute in Babilonia e riferite da altri, che le presenti e ch'egli in se stesso prova? Io prego V. S. Illustrissima a farli una volta veder di meza state ghiacciare il vino per via d'una veloce agitazione, senza la quale egli non ghiaccerebbe altrimenti. Quali poi possano esser le ragioni che Seneca ed altri arrecano di questo effetto, ch'è falso, lo lascio giudicare a lei.

All'invito che mi fa il Sarsi ad ascoltare attentamente quello che conclude Seneca, e ch'egli poi mi domanda se si poteva dir cosa più chiaramente e più sottilmente, io gli presto tutto il mio assenso, e confermo che non si poteva né più sottilmente né più apertamente dire una bugia. Ma non vorrei già ch'ei mi mettesse, com'ei cerca di fare, per termine di buona creanza in necessità di credere quel ch'io reputo falso, sì che negandolo io venga quasi a dar una mentita a uomini che sono il fior de' letterati e, quel ch'è più pericoloso, a soldati valorosi; perch'io penso ch'eglino credesser di dire il vero, e così la lor bugia non è disonorata: e mentre il Sarsi dice, non volere esser di quelli che facciano un tal affronto ad uomini sapienti, di contradire e non credere a i lor detti, ed io dico, non voler esser di quelli così sconoscenti ed ingrati verso la natura e Dio, che avendomi dato sensi e discorso, io voglia pospor sì gran doni alle fallacie d'un uomo, ed alla cieca e balordamente creder ciò ch'io sento dire, e far serva la libertà del mio intelletto a chi può così bene errare come me.


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